L'ADDIO AL CELIBATO
(non sarà mica una festa ? )
Ed in effetti i miei amici erano di questo stesso avviso.
Va premesso che dei 12-13 amici che allora componevano la “compagnia”, dei quali solo la metà avevano fatto il militare, mentre gli altri con scusanti varie (figlio unico, la nonna a carico, la pleurite, il soffio al cuore ecc.) l'avevano svicolata, pochi avevano fatto l'esperienza della gavetta e degli scherzi da caserma, a volte,anche pesanti.
Pertanto gli uni non vedevano l'ora di rivivere i momenti goliardici della naja, gli altri, rassegnati, sapevano che avrebbero dovuto “pagare dazio”.
Niente di meglio che l'occasione delle feste di addio al celibato per fare le cose in grande.
Ogni stagione ha le sue feste. C'è la stagione o il periodo dei matrimoni, delle comunioni, delle cresime, dei matrimoni, della nascita dei figli e via dicendo fino a quella in cui partecipano solo gli altri.
Anche per noi, quindi, è venuta la stagione dei matrimoni , quasi tutti nel giro di due o tre anni.
Per la verità ci si “allenava” spesso, un po' perchè in compagnia c'erano i soggetti giusti, un po' perchè le cene fra soli uomini, chiamiamole sociali, erano abbastanza frequenti, ma i motivi per fare un po' di baldoria c'erano sempre.
Da noi, poi, come saprete, in Friuli c'è la tradizione radicata di andare al bar a bersi l'aperitivo che consiste nel classico “tajut”, ossia il calice di vino bianco e noi, molto legati alle tradizioni, mezzogiorno e sera, dopo il lavoro ci trovavamo nel solito locale.
La tradizione, per la cronaca, resiste tuttora, solo che la compagnia si è un po' ridotta ma non ancora per il motivo di cui sopra (perchè partecipano solo gli altri).
Veniamo a noi.
Dopo nove anni di fidanzamento era giusto, seppure in giovane età, che convolassi a giuste nozze con la mia paziente “morosa”.
Preparato l'appartamentino dei colombi, stabilita la data delle nozze dovetti affrontare quelle che ho chiamato le “forche caudine” della cena con gli amici per l'addio al celibato.
Quel fatidico giorno ci troviamo, come la solito al bar, a mezzogiorno e gli “aguzzini” mi dicono: “ Tu aspettaci a casa, veniamo noi a prenderti”.
Già questo mi metteva in apprensione, “Chissà cosa avranno preparato”.
Verso le venti, incravattato come si conveniva, stanco di aspettare in casa, scendo e vado in negozio a luci spente.
Il locale è piuttosto grande, ha cinque grosse vetrine per una lunghezza di quasi una ventina di metri, quindi con una bella visuale sulla via principale del paese.
Ad un certo punto sento il tam-tam di un tamburo e, strana cosa a quell'ora, un po' di gente sul marciapiede di fronte che guardava da un lato, sembrava fosse il I° maggio con la sfilata dei compagni-lavoratori e i trattori.
Ma, al posto dei trattori, si materializza un carro trainato da due buoi con a piedi il proprietario della quadriglia, figura che io conoscevo benissimo come tutti i cervignanesi, il buon “Bagai”.
Non so che origini avesse il sopranome, era comunque un vezzo comune del paese ed anche tra di noi quello di affibbiarci dei nomignoli strani.
Un simpatica figura “il Bagai”, abitava in una casetta in via Trieste ove viveva con due figli e la moglie lavorando quei quattro campi che non so neanche se fossero stati suoi, certo è che la vita era piuttosto grama, gente onestissima e lavoratrice.
Era solito rientrare dai campi la sera tardi e non si capiva se era lui che guidava i buoi o viceversa, tanta era la stanchezza che traspariva da quella faccia rude.
A tal proposito, un amico, vicino di casa ci raccontò che una sera, la moglie, stanca di aspettarlo se ne andò a letto con i figli lasciandogli un piatto in mezzo al tavolo.
Il buon “Bagai”, rientrato, un occhio aperto e uno chiuso, ha ripulito il piatto ed è andato a letto. L'indomani mattina la signora “Bagaia” quando vede suo marito gli chiede: “Hai pulito tu il piatto che era sul tavolo ?”, la risposta fu “Sì”.
Niente di più normale se non fosse che in quel piatto c'erano solo le lische delle sardine che la moglie e i figli avevano mangiato la sera prima.
Che la storia sia vera non ho difficoltà a credere e quindi vi dà l'idea di qual'era il personaggio, adatto alla coreografia che mi avevano preparato.
Piano, piano, dopo il carro si materializza una figura di uomo con un grosso cappuccio, stile ku-kus-klan e con una grande scure sulle spalle, seguito da un discreto numero di “seguaci”, incapucciati e diligentemente in fila per due.
“Eccoli quà” mi son detto.
Mi hanno prelevato di forza, vestito con un pigiama di flanella, generosi perchè era il mese di aprile e faceva freschetto, ma non si è capito dove l'avessero prelevato...che fosse del “Bagai”?
Mi hanno messo una pseudo-parrucca di canapa da idraulico e mi hanno letteralmente buttato sul carro pieno di fieno.
Per fortuna che il locale dove dovevamo andare era vicino al centro anche perchè per tutto il periodo della cena, fuori dal locale ha stazionato un poliziotto che ci teneva sotto stretto controllo attraverso le finestre.
Anch'io mi ero preparato, però, consegnando un ricordo dell'avvenimento a tutti gli amici, con un precedente e paziente lavoro di modellismo ho assemblato un arnese di uso comune, rigorosamente fatto.....a mano.
eccone copia autentica e originale...
L'ho saputo dopo, che nel tragitto di preparazione al “corteo” alle spalle di Fabio (detto “la volpe”), il boia, si era presentato il Commissario di Polizia con un poliziotto.
Allora avevamo anche il Commissario di PS a Cervignano.
La manifestazione non era stata annunciata, anche se non si prevedeva un obbligo di questo tipo, quanto meno a livello paesano, essendo tutti conosciutissimi non ci sarebbe stato alcun problema da parte dell'Autorità, il fatto grave fu che erano tutti incapucciati.
Fabio sente alle spalle una voce che gli intima;
“ In nome del popolo italiano si faccia riconoscere”
Inevitabile risposta del boia convinto che alle sue spalle ci fosse il solito instancabile guascone, il “Bughi” (Enrico, suo fratello).....
”Và in ca...no Bughi ”.
“In nome del polo italiano si faccia riconoscere”....... ripetè il Commissario.
Ecco il motivo del ritardo nel venire a prendermi, hanno dovuto sorbirsi una autorevole “romanzina”, anche se con fare paternalistico e comprensivo come solo allora poteva essere, prima di avere il lascia passare per continuare la sfilata.
Ma non fu l'unica occasione in cui il Commissario si occupò di noi, anzi ci definì bonariamente “una compagnia di giovani simpatici e facinorosi”, in compenso ci ha sempre lasciati fare, anzi in occasione delle varie organizzazioni delle gymkane è stato sempre estremamente collaborativo.
Ai ragazzi d'oggi queste carnevalate sembreranno stupide, forse infantili e dire che noi avevamo dai 25 ai 35 anni eppure tutto questo ci permetteva di passare le serate serenamente in piacevole compagnia, mai sentito parlare di spinelli o eccitanti vari, la nostra massima eccitazione erano gli scherzi, gli sfottò e le sane risate collettive.
E' dall'età di diciott'anni che frequento gli stessi amici, qualcuno si è perso per strada, come succede ma, come si dice in questi casi, restano i “migliori”, certo è un fatto di cui qualche volta ne parliamo e non certo per esaltarci ma per evidenziare, in negativo, la scarsa propensione dei giovani d'oggi a socializzare.
Per “socializzare” intendo l'aggregazione ai fini di una azione costruttiva comune.
Vanno a scuola, al bar, in discoteca, al lavoro assieme, quando s'incontrano “baci e abbracci”, convivono, si sposano, si separano tutto è provvisorio, non c'è niente di solido, si bruciano amicizie, amori, famiglie in poco tempo e la società sembra andare allo sfascio.
E dire che vivendo in una piccola realtà di provincia sono ben lontano dalla convulsa, stressante e oppressiva realtà delle grandi città industriali, dove è più il tempo che passi in metrò o in macchina per andare e tornare dal lavoro che quello che puoi dedicare alla moglie piuttosto che ai figli.
Mica si ritrovano questi giovani, come noi ogni giorno al bar a fare “ricreazione” con i coetanei dove tra una barzelletta e un “ricordi che...” scarichi la tensione del lavoro, ricarichi le batterie.
Magari tra qualche po' arriverà il solito autorevole studio americano che ci dirà che serve a prevenire l'artereosclerosi e la demenza senile.
L'ho definita “ricreazione” perchè, come al solito, parlando faccio sempre riferimento inconsapevole e sottinteso a fatti vissuti.
Un bel giorno, quando mio figlio frequentava le elementari, in un compito in classe il cui titolo non ricordo quale fosse, scrisse che ”.....anche mio papà fa la ricreazione, tutti i giorni al bar con gli amici”, cosa che la maestra mi ripetè quando occasionalmente m'incontrò.
“Aaaaaa.....ho saputo che anche lei fa la ricreazione al bar tutti i giorni” mi disse “Sì” risposi, “Per restare giovane di spirito e di mente” e ci facemmo una bella risata.
Ridere fa bene al corpo e allo spirito, spero di avervi fatto almeno sorridere....!